nella migrazione dal vecchio blog, era stato trasferito solo il titolo, ma non l’articolo….. non me ne voglia il professor Barbieri…
HVMANISTICA
an international journal
of early renaissance studies
1/2 · 2006
pisa · roma
i stituti editoriali e polig rafici internazionali
mmvi
ESTRATTO
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
ED EDITORIALE
SCIENTIFIC AND EDITORIAL
COMMITTEE
Giuseppe Barbieri · Jean-Louis Charlet
Marcello Ciccuto (Segretario · Secretary)
Francesco Furlan (Segretario · Secretary)
Martin McLaughlin · Gianni Venturi
*
COLLEGIO DI DIREZIONE
EDITORIAL BOARD
Giuseppe Barbieri · Jean-Louis Charlet
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« FINXIT IN EFFIGIEM MODERANTUM CUNCTA DEORUM » :
UN RITRATTO IN SEMBIANZE DI PROMETEO
Giuseppe Barbieri
1. Non uomini, dèi
Nel 1903, Hugo von Hoffmannsthal scrisse
una pagina giustamente famosa su villa Almerico-
Capra, universalmente nota come la
Rotonda di Andrea Palladio. L’edifi cio non era più
percepibile nello splendore di un tempo. Con amaro
riscontro lo scrittore ci indica le strutture di accesso
alla villa « umiliate come sono, desolate, spellate fi no
ai mattoni, sosta delle lucertole » ; 1 ciò tuttavia non
riduce l’impatto della sua percezione :
È un edifi cio costruito per un piacere tale, come se non
fosse destinato a uomini ma a dèi. E se furon uomini,
devono aver avuto qualcosa di divino nel sangue per
sopportare una abitazione come questa. Un qualcosa di
superiore all’umano esigono queste quattro scalinate, rivolte
ai monti, al mare, alla pianura, alla città. Anche solo
il loro aspetto – umiliate come sono, desolate, spellate
fi no ai mattoni, sosta delle lucertole – genera sogni. Terribile
come nessuna di esse sappia niente dell’altra, come
ognuna volti le spalle all’altra, e come tutte poi alla sala
enorme che s’imbuia. Su una di esse potrebbe esserci un
guerriero, un tremendo Dio di distruzione che lanciasse
segnali di fuoco giù verso il piano, giù verso la città. E
sull’altra, quella che guarda il mare, un piacere sfrenato
che si riversa di gradino in gradino, ruota ebbra, faunesca,
con mani folli e capelli bagnati di baci e di vino, e
succo a grappoli schiacciati di bocca a bocca spruzzante
verso le stelle. E in direzione delle stelle, della scintillante
striscia di Orione, verso le ombre mute di quei monti
giganteschi che respirano divina purezza, uno, sulla terza
scalinata, solo, tremante di giovinezza e di stupore. E su
quella di spalle che guarda verso le cupe trame della vasta
pianura, potrebbe accadere un delitto. E tutte quattro non
saprebbero niente l’una dell’altra.
Non intendo partire da qui per costruire una qualche
antologia di testi, che pure non mancano, sul capolavoro
palladiano. Non rientra tra gli obiettivi di questo
intervento neppure una precisa contestualizzazione
del punto di vista di Hoffmannsthal, quello che in
particolare si dispiega nella seconda parte del passo,
dove non è comunque affatto implausibile avvertire,
da una parte, il ricorso a suggestioni nietzscheane e,
insieme, una sorta di impiego di quelle Pathosformeln
che Aby Warburg fi ssa, negli stessi anni, come uno
dei criteri più efficaci per la comprensione dell’arterinascimentale. 2 L’unico dato che mi preme viceversa
sottolineare è anche il più insistito nella pagina
dello scrittore austriaco : la presenza degli dèi. Di
uomini-dèi nell’attacco del brano, di una divinità
diffusa, nella seconda parte, che popola le quattro
scalinate della villa, con dinamiche e atteggiamenti
molto diversi – statuari e irrefrenabili, tremanti o
privi di vita – ma anche con una panica, generale
capacità di coinvolgimento, che abbraccia le stelle e
le quattro parti del mondo, le azioni e i sentimenti ;
che sembra inoltre e comunque aspirare, tra sogni
e forzate impossibilità di sapere, a una conoscenza
che superi le apparenze, che sorpassi quel buio che
Hoffmannsthal colloca nel cuore dell’architettura.
Il brevissimo accenno « alla sala enorme che s’imbuia
» lascia presumere una visita anche all’interno
dell’edifi cio. Furono i soggetti della decorazione che
osservò a fornirgli lo spunto per una così marcata
evidenziazione del carattere ‘divino’ di quel segno
architettonico ? Non abbiamo alcuna possibilità di
conferma, ma sappiamo tuttavia che, pur in condizioni
di illuminazione non ottimali, Hoffmannsthal
vide pressoché solo dèi. Paola Rossi ha osservato che
« la decorazione pittorica della Rotonda rappresenta
un episodio della problematica dei fatti artistici tra
quelli rimasti a tutt’oggi più nebulosi » : 3 ciò riguarda
però – e non è poco s’intenda – l’assenza di dati
documentari, la mancanza di indizi che consenta-
1 Hugo von Hoffmannsthal, La Rotonda del Palladio, Sommereise,
1903, in Prosa, ii, Berlino, 1953, trad. it. di Nico Stringa in
« Odeon », i, 2, 1980, p. 21.
2 Per i testi di quest’ultimo si veda Aby Warburg, Opere, i,
La rinascita del paganesimo antico e altri scritti, a cura di MaurizioGhelardi, Torino, Nino Aragno Editore,
2004, in particolare la
conclusione de L’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del primoRinascimento
, il testo della celebre conferenza proposta dapprima
al Kunsthistorisches Institut di Firenze, il 20 aprile del 1914. Sulproblema delle
Pathosformeln in Warburg basti il rinvio ai saggi
di Giovanni Careri, Ezio Raimondi e Claudia Cieri Via nella
miscellanea che raccoglie gli Atti del Convegno di Ferrara del
1998 : Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dei, a cura di Marco
Bertozzi, Modena, Franco Cosimo Panini, 2002.
3 Paola Rossi, Gli affreschi, in La Rotonda, Milano, Electa, 1988,
pp. 143–167 : qui p. 143 ; neppure il Catalogo della recente Mostra
Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a cura di Guido
Beltramini e Howard Burns, Venezia, Marsilio, 2005 aggiungeelementi salienti : si veda infatti, ivi,
Paola Marini, La decorazione
della villa all’età di Palladio, pp. 105–115 ; qualche maggiore motivo diinteresse nelle schede, pp.
356–365. Un’analisi della bibliografi a
critica sulla villa si deve a Donata Battilotti (pp. 497–498), in
Lionello Puppi, Andrea Palladio, nuova ed. aggiornata e ampliata
a cura di Donata Battilotti, Milano, Electa, 1999 : concordo conla studiosa sulla ridotta e
fficacia di una lunga serie di letture
esoteriche della costruzione e della sua decorazione che si sono
venute allineando nell’ultimo scorcio del xx secolo
162 giuseppe barbieri
no di decifrare e restituire un organico programma
iconografi co, l’incertezza su cronologie certe e su
attribuzioni sicure agli artisti coinvolti, che Palladio
per di più non rammenta nel pur lungo testo che
accompagna l’invenzione nel suo trattato di architettura,
licenziato nel corso del 1570 1 (quasi a stabilireun implicito termine post quem per l’avvio dell’impresa
di decorazione degli interni).
Almeno i soggetti della decorazione risultano assai
meno nebulosi : persino le grottesche, che compaiono
in fasce a perimetro delle campiture di affresco
nella sala grande a est, e che risolvono globalmente
la decorazione dei camerini di collegamento (segni
spesso discussi, soprattutto quanto ai termini dell’esecuzione,
ma anche, almeno sino ad anni recenti,
scarsamente analizzati), nel momento in cui vengono
correttamente inquadrate nel contesto berico (e
veneto) del secondo Cinquecento, 2 palesano senza
equivoci le tematiche prevalenti, esito di un profi
cuo colloquio tra le riconosciute competenze del
probabile e più presente (ma non l’unico) esecutore,
Eliodoro Forbicini, e gli interessi del primo proprietario
della villa, Paolo Almerico : parlano della
ricchezza di una natura fertile e generosa di messi
(un dato esplicitamente sottolineato, del resto, dallo
stesso Palladio nel suo trattato) e delle contraddizioni
che in essa coesistono, e che riverberano necessariamente
nell’intima personalità dell’uomo ; segnalano
1 A proposito della complessa pagina palladiana (I quattro libri
di architettura, In Venetia, Appresso Dominico de’ Franceschi,
1570, ii, 3, p. 18) credo che la monografi a sulla Rotonda del
1988 possa essere ancor oggi utilmente integrata dal mio Andrea
Palladio e la cultura veneta del Rinascimento, Roma, Il Veltro, 1983,pp.
213–226, in particolare per quanto si riferisce agli accenni
al tema del doppio.
2 Come ha fatto una mia bravissima allieva nella sua tesi di
laurea, cui rimando : Francesca Manea,
e « cose studiose » : motivi a grottesca nella decorazione vicentina dei secc. xv
e xvi, tesi di laurea, Università degli Studi di Udine, a.a. 1998–
1999 : per la Rotonda, pp. 326–347.
Fig. 1. Vicenza, Villa Americo-Capra, detta La Rotonda, soffitto della stanza grande a sud,Alessandro Maganza, Trionfo
di Minerva (della Sapienza), affresco, 1599
dio», Fototeca).
un ritratto in sembianze di prometeo 163
il positivo valore e il ruolo decisivo della sessualità,
con cui l’uomo partecipa alla fertilità del più vasto
contesto naturale ; attestano il bisogno di un’elevazione
morale, da conseguire mediante pratiche di
devozione personale (i cui emblemi spesso si rivelano
connotati da una sottile doppiezza semantica) ;
si aggiungano alcuni precisi rimandi, per quanto il
genere espressivo consente, agli eccepibili comportamenti
intrattenuti dal committente nel corso della
sua vita, dato che era stato accusato di omicidio e
di aver illecitamente trattenuto le prebende legate
a una carica che non aveva pienamente ricoperto ;
infi ne, l’allusione a una strategia di conoscenza delle
più alte verità, tradotta nell’immagine frequente della
cicogna, che per Giovanni Pierio Valeriano, nei suoi
monumentali Hieroglyphica, rinvia per l’appunto a un
animus divinus intentus, 1 cicogna che è talvolta connotata
addirittura dalle ali di Psiche, similmente riferibili
a un simbolico percorso di elevazione cognitiva e
spirituale : forse anche questo elemento ha lasciato
una traccia nella pagina palladiana del trattato,
quando l’architetto sottolinea manifestamente (ma,
invero, paradossalmente) la collocazione acropolica
dell’edifi cio, rimarcandone allo stesso tempo l’« ascesa
[ascesi ?] facilissima » che vi approda.
Per quanto riguarda gli elementi anche dimensionalmente
maggiori della decorazione della villa, per
cui rimando al citato ed esauriente saggio di Paola
Rossi, qualche problema di lettura può essere in effet-
1 Cfr. Giovanni Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris
Aegyptiorum aliarumque gentium literis commentarii, Lugano, Honoraty,
1579, p. 124.
Fig. 2. Vicenza, Villa Americo-Capra, detta La Rotonda, soffitto della stanza grande a nord, ambito di Bernardino India,
Trionfo della Sapienza con le Grazie e tre divinità olimpiche, affresco, ante 1590 (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi di
Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).
164 giuseppe barbieri
ti rintracciato nella puntuale decifrazione di alcune
fi gure della cupola che sovrasta la sala centrale e, in
casi marginali, nei soffitti delle sale angolari (segnatamente
per gli ottagoni della stanza grande a sud). Ma,
nel complesso, essi risultano di signifi cato scoperto
e coerente con quanto ho indicato a proposito dei
camerini a grottesche : vi si mescolano allegorie delle
virtù e delle arti, che dispiegano un discorso di complessa
elevazione, in termini di conoscenza e di comportamenti
morali, presidiate e, per quanto si riferisce
alla percezione d’insieme che poteva averne ricavato
Hoffmannsthal, pressoché dominate, dopo l’intervento
di Louis Dorigny all’inizio del xviii secolo , 1
raffigurazioni delle divinità pagane dell’Olimpo.
2. Olimpi in villa
Tale presenza è in realtà tutt’altro che infrequente negli
edifi ci suburbani di Andrea Palladio, come pure del
resto in alcuni suoi palazzi vicentini : tanto in quello
per Marc’Antonio Thiene quanto in quello per Girolamo
Chiericati – ma sarà il fi glio di questi, Valerio, a
promuoverne la fastosa decorazione – esistono esplicite
Stanze degli Dèi. Nel palazzo per Iseppo Porto,
la cui impresa decorativa, per altro sconvolta nel corso
dei secoli, presumibilmente precede le altre, scene mitologiche
si accompagnavano a dipinti e affreschi, rinnovati
anche nel corso del xviii secolo, che ritraevanoalcuni esponenti della famiglia proprietaria :
2 una contiguità
che vedremo vieppiù enfatizzata nell’episodio
1 Sull’attività dell’artista in Veneto cfr. Louis Dorigny 1654-
1742. Un pittore dalla corte francese a Verona
Marini e Paola Marini, Venezia, Marsilio, 2003.
2 Si veda la ricapitolazione del problema in Franco Barbieri,
Vicenza città di palazzi, Milano, Silvana Editoriale, 1987, pp. 72–74.
Fig. 3. Vicenza, Palazzo Thiene (sede della Banca Popolare), Sala delle Metamorfosi, volta con gli affreschi di Bernardino
India e gli stucchi di Alessandro Vittoria, 1552
«Andrea Palladio», Fototeca).
un ritratto in sembianze di prometeo 165
che costituisce il centro di questo mio saggio. Quanto
alle ville, Giovanni Antonio Fasolo 1 dispone un sovraccaricoOlimpo a precedere raffigurazioni di momenti
di vita domestica (dove probabilmente appaiono anche
i membri della famiglia committente) in quella per
i Caldogno, nell’omonimo e piccolo centro alle porte
di Vicenza ; a Pojana
Maggiore, nel la
villa progettata per
l’eponima famiglia,
Bernardino India
colloca sul soffitto di
una delle due stanze
principali, a destra
dell’ingresso, le divinità
dell’Olimpo
e, su una parete, una
famiglia, quella dei
committenti, in vesti
classiche, inginocchiata
dinanzi alla
statua della Pace. Anche
a Maser, a Villa
Barbaro, il più complesso
e lungamente
discusso episodio di
decorazione di una
villa palladiana, 2 nel
braccio posteriore del
salone Paolo Verone
se affianca alla
vi sione dell’Olimpo
sul soffitto i ritratti
della moglie di uno
dei due committenti,
Marcantonio, dei
fi gli di questi e della
loro nutrice, che si
affacciano, con intrigante
naturalezza, da
un ballatoio. E a sua
volta, Battista Zelotti,
che già aveva collaborato
alla decorazione della Villa Godi di Lonedo
di Lugo Vicentino, popola i soffitti e le pareti di Villa
Foscari, la Malcontenta, a Gambarare di Mira, e di
quella per gli Emo a Fanzolo, con allegorie di Virtù e
di divinità pagane, secondo schemi e dosaggi non lontani
da quelli che abbiamo veduto alla Rotonda.
Il diffuso ricorso alle allegorie di Virtù nella decorazione
delle ville venete è una questione sin troppo
indagata dalla critica, che ha riconosciuto da tempo
il preciso ricorso a strumenti anche iconici per la veicolazione
del nuovo valore che veniva attribuendosi,
nel corso del Cinquecento, alle pratiche agricole, nel
quadro del complesso virage che, nella Repubblica
veneta, porta alla costituzione di uno Stato da Terra,
dapprima affiancato
a quello da
Mar, e rapidamente
de s tinato a
sostituirlo come
fonte delle risorse
del Dominio ;
a tale affermazione
di senso fi niva
per contribuire, a
sostegno, anche
la ripresa del più
datato topos umanistico
che fi ssava
nell’abbandono
dei negotia
affannosi della vita
ci vile e cittadina
la condizione
pe r un progresso
spirituale personale,
ma anche di
gruppi e di ceti.
Non è questa la
sede per ripercorrere
le sfaccettate
articolazioni del
problema. Re –
s tiamo piuttosto
a una dimensione
di contiguità
tra i committenti
e proprietari delle
ville (spesso
raffigurati, come
abbiamo visto,
negli interni cicli
di decorazione) e le divinità del mondo antico :
anche su questo punto, da Warburg a Wind a Seznec,
sono venute stratifi candosi, nel corso del Novecento,
alcune fondamentali rifl essioni, che possono fornire
lo sfondo per la specifi ca aggiunta di questa circostanza.
3. « Un’eolo ver, ch’il finto rassomiglia »
Mi riferisco a un episodio certamente minore, quanto
al livello dell’esito artistico, ma non invece per il suo
sicuro interesse iconografi co, almeno nella generale
prospettiva appena indicata. Si tratta della decorazione
del soffitto di un piccolo padiglione che Francesco
Trento, un nobile vicentino di cui ho avuto molti
1 Cfr. Stefano Marconi, ad vocem, in Dizionario Biografi co degli
Italiani, xlv, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995
pp. 259–262.
2 Cfr. A. Puppi, Andrea Palladio, cit., pp. 314–318, e D. Battilotti,
ivi, pp. 469–471.
Fig. 4 – Vicenza, Palazzo Chiericati, soffitto della saletta sud del piano terra,
Giovan Battista Zelotti, Concilio degli Dèi (part.), affresco, 1557-1558 (courtesy
Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio
», Fototeca).
166 giuseppe barbieri
anni fa l’occasione di occuparmi abbastanza a fondo, 1
realizza a Costozza, « una villa nel Vicentino, lontana
dalla Città sei miglia », 2 entro il 1560, 3 accanto a una
maggiore residenza suburbana di famiglia, ereditata
dal padre, Girolamo, e decora, credo, pressoché nella
stessa fase temporale, sebbene, ritengo, senza portare
a defi nitivo compimento l’iniziale, e forse sin troppo
ambizioso, programma iconografi co : di cui ci resta
tuttavia una preziosa indicazione proprio nel codice
ambrosiano A. 16 inf. su cui si concentrava il mio
intervento del 1983.
1 Cfr. Giuseppe Barbieri, Il vento e la legge : Francesco Trento e il
circolo di villa Eolia, « Studi Veneziani », n.s., vii, 1983, pp. 81–142.
2 Come recita l’inizio della celebre descrizione fornita a Leandro
Alberti da Giangiorgio Trissino : vedila in
Italia…, In Vinegia, per Domenico de’ Farri, mdlvii, ff. 418r–v.
3 Come conferma il testo di un’iscrizione, un tempo scolpita
nel ‘Carcere dei Venti’ sottostante la stanza che ci interessa, che
ci è stata conservata in due versioni, l’una nel cod. A. 16 inf., nella
Biblioteca Ambrosiana di Milano, con un decisivo errore, quanto
alla data, l’altra da Francesco Tomasini nella sua Genealogica istoria
delle famiglie nobili vicentine (Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana,Mss.,
gonz. 26.8.3 = 3336, ff. 227v–228r) : « Franciscus Tridentus
vicentinus iureconsultus Hieronimi equitis fl ius geliditate fl atu
in caverna Cubalo nuncupata spirantem, in aedes proprias per
hoc cryptoporticum deduxit ad temperandum ardores et aestivos
calores quem tum cohibendo tum relaxando novo atque mirabili
artifi cio per cubicula quaeque deducendo ea pro libito suo
refrigerare et calefacere valet ita ut custodia Villa, eius ingenio,
diligentia, impensa ac aemulatione ornatior effecta, inter regia
oblectamenta connumerari possit. Anno 1560
trigesimo secundo ».
Fig. 5. Caldogno (vi), Villa Caldogno, volta a botte dell’atrio, Giovanni Antonio Fasolo,Olimpo, affresco, 1570 ca. (courtesy
Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).
un ritratto in sembianze di prometeo 167
Senza ripercorrerlo, occorrerà d’altra parte spendere
due parole sull’elemento più fortemente caratterizzante
la piccola costruzione annessa a Villa Trento,
il padiglione sovrapposto a un Carcere dei Venti 1
che Francesco, così come attestano iscrizioni ancora
presenti 2 e composizioni letterarie similmente inseritenel dossier ambrosiano, aveva voluto designare
col nome di Eolia, di nuova reggia del signore dei
venti. Si tratta di un sistema di termoregolazione,
per convezione naturale, che metteva in comunicazione,
mediante lunghi cunicoli (i cosiddetti ‘ventidotti’),
una serie di grotte : ciò consentiva anzitutto
di mantenere a temperatura costante la ricca cantina
(celebrata anche da Ruzante) allogata nelle immediate
vicinanze del Carcere, e di operare inoltre, attraverso
saracinesche opportunamente manovrate, l’immissione
– nel padiglione, nella villa contigua, nelle altre
ville contermini – di un maggiore o minore fl usso
di aria fresca e non troppo umida, con effetti, tuttora
in vigore, che anticipano, per così dire, i nostri
usi dell’aria condizionata. Proprio Francesco, che
una lunga e qualifi cata serie di elogia riconoscono, e
cito dal meno felice da un punto di vista letterario,
come « un’huom ch’i venti frena, e slega, e move, /
E un’Eolo ver, ch’il fi nto rassomiglia », 3 rivendica in
quello stesso codice ambrosiano, in un autografo, il
signifi cato della sua impresa :
Franciscus Tridentus vicentinus iureconsultus Hieronimi
equitis fi lius gelidi venti fl atum in caverna cubalo nuncupata
spirantem per hoc Chriptoporticum in hunc locum
Æolium nuncupatum deduxit ad temperandos ardores et
aestivos calores quem tum cohibendo tum relaxando novo
atque mirabili artifi cio per huius domus cubicula quaeque
ducendo ea pro libito suo refrigerare et calefacere valet.
Adeo quod ut non tam mirabili hoc ventiducto quam
acquaeductis et piscinis picturis et ornato Musaeo domus
decoratur sed etiam hortiis viridariis vinetis Parnaso scilicet
Falerno et Olimpo ex incultis et saxosis locis ab eo
emptis plantatis ac in eam quae nunc videtur amenitatem
et fertilitatem reuctis Custodia villa dum haec alij imitari
conantur deliciosissima efficitur et inter regia oblectamenta
connumerari potest.
1 Cfr. Palladio, I quattro libri, cit., i, 27, p. 60 : « il carcere de’
Venti, che è una stanza sotterra fatta dall’Eccellentissimo Signor
Francesco Trento, & da lui chiamata eolia : ove molti di detti
Ventidotti sboccano : nella quale per fare che sia ornata, e bella,
e conforme al nome ; egli non ha sparagnato nè a diligenza, nè a
spesa alcuna ».
2 L’iscrizione tutt’oggi visibile all’ingresso del criptoportico,
assai diversa da quella, molto più lunga, che lo stesso Trento
aveva compitato, recita : aeolvs hic clavso ventorvm carcere
regnat aeolia.
Fig. 6. Pojana Maggiore (vi), Villa Pojana, soffitto della sala
centrale, Giovan Battista Zelotti, Le divinità dell’Olimpo fannocorona a Giove
, affresco, 1558 ca. (courtesy Vicenza, Centro
Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio»,
Fototeca).
Fig. 7. Pojana Maggiore (vi), Villa Pojana, Sala degli Imperatori,
parete settentrionale, Bernardino India, I committentivenerano una statua della Pace
, affresco, entro il 1563 (courtesy
Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architet tura
«Andrea Palladio», Fototeca).
3 Milano, Biblioteca Ambrosiana, Cod. A. 16 inf., f. 21r.
168 giuseppe barbieri
Non voglio che sorgano equivoci. Come è agevole
evincere dall’intonazione del passo che ho riportato
– una prima stesura, e tuttavia più ampia e stimolante,
dell’iscrizione che Trento avrebbe poi fatto apporre
all’ingresso del Carcere dei Venti 1 – a Francesco spetta
sostanzialmente il merito di aver ‘trasfi gurato’ un sistema
da secoli in uso a Costozza, sotto e dentro le pendici
dei Colli Berici : il nobile giureconsulto vicentino
aveva provveduto insomma a un’opera di risignifi cazione
(o forse, come vedremo, di ricreazione) di quel
meccanismo, così come aveva provveduto, nel corso
degli anni a rinominare,
in modo
magniloquente e
sintomatico, gli a ppezzamenti
della
sua proprietà ; Parnaso,
in precedenza
Contrà del la
Crosara, o delle
Lasteselle ; Falerno,
già Contrà di
Bazaloni ; 2 Olimpo.
Si tratta di
un’impostazione
che, nella mia monografi
a su Palladio
e nel saggio
sul circolo di Villa
Eolia, proponevo
di ascrivere, giocando
sui termini
che Alberti fi ssa
nel capitolo 2 del
sesto libro del Dere aedifi catoria
, a una
precisa logica dell’‘
ornamento’, nei
confronti di un
mondo che risulta
sì già segnato
dall’autentica bellezza
della creazione divina e che comunque abbisogna
di interventi, a completamento, dell’uomo. Una
impostazione che, inevitabilmente, può essere sancita,
sintetizzata, anche da un testo fi gurativo : in questo
caso, dagli affreschi sul soffitto dell’Eolia.
4. Prometeo tra i pianeti
Negli ultimi lustri l’episodio è stato oggetto di una
qualche attenzione da parte della critica, 3 che tuttavia
non ha ancora colto in modo esauriente, a mio avviso,
il senso che Francesco Trento vi voleva riposto. La
descrizione fornita da Alessandro Bevilacqua, pur con
qualche inesattezza, è assai puntuale :
La decorazione […] confi gura un padiglione ipetro, formato
da un peristilio concluso da una volta ; il peristilio
è composto da un alto zoccolo corrente, su cui poggiano
pilastri con addossate semicolonne corinzie, a reggere un
articolato architrave ; gli intercolumni ora si chiudono in
specchiature marmoree, ora si aprono in corrispondenza
delle porte e fi nestre reali, e d’un fi nto sfondo paesistico. 4
Dall’architrave s’innalza
la volta aperta,
composta da una
doppia crociera di
archi (quattro maggiori
che partono
dal centro dei lati, e
quattro minori dagli
angoli della sala) che
si conclude nell’ottagono
sommitale.
Gli archi maggiori
assumono la forma
di pilastri, suddivisi
da una cornicetta :
alternativamente lisci
o decorati, nella
parte inferiore, con
due fanciulle stilofore,
ciascuno racchiude
una nicchia
entro cui è posta
l’allegoria bronzea
d’una stagione. 5 Nei
pilastri lisci, putti
fes tanti tra mazzi di
1 Cfr. supra, p. 168, nota 3.
2 Per queste due rinominazioni cfr. Vicenza, Archivio di Stato,
Notarile, notaio Oliviero Scalabrin, busta 8450, 15 dicembre
1575, e notaio Cesare Gennari, busta 8214, 8 ottobre 1576.
3 Cfr. Alessandro Bevilacqua, Ricerche e notizie per una storia artistica
di Costozza, Longare e Lumignano, in Costozza. Territorio immaginie civiltà nella storia della Riviera Berica Superiore
, a cura di Ermenegildo
Reato, Vicenza, Stocchiero
Editrice, 1984,
pp. 871–971 : per l’Eoliapp.
906–912 ; SandroSponza, Della villa
« Eolia » per il genio della
Rotonda, « Bollettino del
Centro Internazionale di Storia dell’Architettura ‘Andrea Palladio’
», xxiv, 1982–1987, pp. 211–220 ; Gert van der Sman,
di Villa Trento : arte e umanesimo letterario nel Vicentino, « Arte Veneta »,
xlii, 1988, pp. 58–67 ; Loredana Olivato, Il carcere dei venti : villa Eolia
a Costozza, in Per Giuseppe Mazzariol, « Quaderni di Venezia Arti », 1,
1992, pp. 191–194 ; Gerardus Johannes Jacobus van der Sman, La
decorazione a fresco delle ville venete del Cinquecento. Saggi di lettura stilistica ed
iconografi ca. Dissertazione, Firenze, Litografi a rgr, 1993, pp. 139–156.
4 Che ritengo molto posteriore alla realizzazione dell’intervento
cinquecentesco.
5 Credo invece che si tratti della raffigurazione dei QuattroElementi : le fi gure non mostrano connotati iconografi ci che possano
escludere tale interpretazione, al contrario paiono proprio
confermare l’ipotesi di lettura. Anche la loro collocazione (si
pensi, ad es., al Fuoco tra le fi gure in trionfo di Venere e di
Cupido) risulta coerente. L’Aere, sopra la porta posta sulla
pubblica via, indica signifi cativamente con la mano l’ottagono
traforato posto al centro del pavimento, che mette in comunicazione
il padiglione con il Carcere dei Venti.
Fig. 8. Maser (tv), Villa Barbaro, Sala dell’Olimpo, soffitto, Paolo Veronese,
Le divinità dell’Olimpo, affresco, 1559-1650 (courtesy Vicenza, Centro Interna –
ziona le di Studi di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).
un ritratto in sembianze di prometeo 169
verzure risalgono il profi lo della nicchia fi no all’erma sovrastante
; in quelli decorati, due atletici giovani, bilicati
sopra le cornicette, affiancano il festone e le protome che
coronano la sommità della nicchia. I campi fi gurativi,
riccamente ornati, alla conclusione delle arcate minori
contengono i segni zodiacali relativi alle stagioni.
Potrei continuare. La descrizione di Bevilacqua prosegue
infatti per un intero altro capoverso, poco più
breve di quello che ho riportato. Intendiamoci : sarebbe
difficile impiegare un minor numero di parole. Ilsoffitto è singolarmente affollato. Di dèi, com’è ovvio
presumere a questo punto del discorso : Saturno, Giove,
Marte, Apollo, Venere (e Cupido), Mercurio, Diana.
Ma esistono anche tutti gli ingredienti evidenziati
dal passo che ho riportato. E se ne aggiungono altri.
Ad es., non è priva di signifi cato la presenza di due
busti femminili all’interno di altrettante conchiglie
(forse ritratti : sono purtroppo così rovinati da non
consentire ormai alcuna identifi cazione certa, ma solo
a catalizzare indizi esterni all’affresco), che sormontanodue delle raffigurazioni allegoriche fi nto bronzee
e che propongo di intendere, nell’ordine dei Quattro
Elementi, come la Terra e il Fuoco. Teste grottesche
si dispongono inoltre sugli alti plinti delle semicolonne
e sulle specchiature della trabeazione ; erme
faunesche saldano le crociere maggiori, mentre quelle
Fig. 9. Lonedo di Luogo Vicentino (vi), Villa Godi Malinverni, parete minore del salone,Giovan Battista Zelotti, Ercole
tra la Virtù e la Fatica, affresco, 1565
Fototeca).
170 giuseppe barbieri
minori sono concluse da scudi ovali, a monocromo
verdastro, uno dei quali conserva un’accennata fi gura
angelica : altri monocromi, tra il bronzo e la terra,
perimetrano proprio gli scudi, e potrebbero rinviare
a personifi cazioni di elementi naturali, come fi umi
ovvero venti, e in questo caso il discorso si farebbe
anche più intrigante. Esistono inoltre, sulle sovraporte
degli accessi al criptoportico e alla strada di fronte al
villino, due cruciali iscrizioni, non so fi no a che punto
coeve alla originaria defi nizione della stanza (anche
per i molti ritocchi), ma che costituiscono certamente
una cifra di lettura non prescindibile all’insieme
dell’intervento decorativo. Recitano, sviluppando un
unico concetto, a cominciare dalla scritta sulla via :
in aestu temperies, incognita priscis. Ritorneremo
sulla questione alla fi ne del nostro discorso.
Ho accennato invece in precedenza a un ambizioso
programma iconografi co, e a una traccia che ce lo
attesta e tramanda. Si tratta di uno dei testi collazionati
nel ricordato dossier encomiastico dell’Ambrosiana
: una sovrascrittura successiva – presumibilmente
quella dell’editor del codice, ossia il nipote di Francesco
Trento, il somasco Gasparo Trissino – lo dichiara
autografo del committente e promotore, né sussistono
ragioni che portino a escludere tale evenienza.
L’autografo, se di autografo dunque si tratta, 1 risulta
comunque incompleto, ma solo perché tronco e
non certo per la mancanza di dettagli. Ci comunica
anzitutto il nome attribuito da Francesco alla sala,
« stanza Apolline » 2 e ci fa perfettamente intendere
come la partitura freschiva non dovesse limitarsi solo
al soffitto del padiglione, dato che :
Se ha da far. 7. quadri sotto alli .7. pianeti quali vanno largidrento de le colonne ; 5. in .6. piedi et alti .9. in .X. piedi. Et
in ciaschedun quadro li va tre operation. Et se ne farra una
de li principali operation de fi gure minore del vivo grande
tri ovver .4. piedi. Le altre due operationi se farrano de
fi gura picole et una menor de l’altra fi ngendole nel paese
lontane et una pi lontana de l’altra remetendosi etiam al’
giuditi del pittore.
Sotto Saturno che inclina a arte magica a agricoltura a
edifi cij a pregioni a minere a mercantia.
Una maga a similitudine di una medea che sia in circulo
et facia incantatione
Uno aratore che coltivi la terra
Persone che facino una fabrica bella
Navi in mare che discargino merce
Sotto Giove qual inclina a regni a religion a honori a
richeze et a honorati vestimenti.
Un Papa che coroni l’imperator
1 Giovanni da Schio, che trascrive parte del dossier ambrosiano
(Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, Mss.,
Milano l’anno 1835, gonz. 249.12 = 2575), annota : « ma a me sembra
Fig. 10. Gambarare di Mira (ve), Villa Foscari detta La Malcontenta,
Stanza dei Giganti, soffitto, Giovan Battista Zelotti
o Battista Franco, Giove tra le divinità dell’Olimpo, affresco,
1560 ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi
di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).
Fig. 11. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,
settore sinistro della parete orientale del salone centrale,
Giovan Battista Zelotti, Giove, nella nicchia, sormonta unprigione, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale
di Studi di Architettura «Andrea Palladio»,
Fototeca).
del Maganza », ipotesi accolta anche da Domenico Bortolan,
Gian Battista Maganza Seniore, Bassano del Grappa, 1883, p. 104.
2 Cioè, come notato da G. van der Sman (cfr. L’Eolia di Villa
Trento, cit., p. 59
sua casa.
un ritratto in sembianze di prometeo 171
Un sacerdote a l’antica che sacrifi chi secondo il ritto
antico
Turchi che adorino idoli
Un moise cum le tavole de la legge
Mori che adorino il sole. 1
Il testo prosegue, ancorché con un minor numero di
contenuti, per quanto si riferisce a Marte, ad Apollo,
a Venere, a Mercurio, e tace invece per gli attributi
di Diana, unica divinità esclusa da questa versione
del programma, e tanto più per Cupido (affiancato a
Venere sulla parete settentrionale), che appare come
una sorta di inclusione di ripiego, una volta stabilito
di adottare una base ottagonale per il riquadro superiore
del soffitto e di prevedere dunque due fi gure
di dèi per ciascuna crociera maggiore.
Al centro dell’ottagono superiore vediamo infi ne
raffigurato un personaggio maschile, che regge una
lunghissima fi accola, nudo o, meglio, appena abbigliato
con un drappo rosso svolazzante e attorcigliato, a
coprire i genitali e ad accompagnare, in qualche modo,
il gesto vigoroso. Il protagonista della raffigurazione
emerge da una nuvola rosa, che occupa quasi per
intero la campitura dell’ottagono. Nel mio saggio del
1 Per l’edizione integrale del testo cfr. ivi, pp. 65–66.
Fig. 12. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,
settore sinistro della parete occidentale del salone
centrale, Giovan Battista Zelotti, Nettuno, nella nicchia,sormonta un prigione, affresco,1565 ca. (courtesy Vicenza,
Centro Internazionale di Studi di Architettura « Andrea
Palladio », Fototeca).
Fig. 13. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,
loggia, Giovan Battista Zelotti, Callisto maltrattatada Giunone
, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro
Internazionale di Studi di Architettura « Andrea Palladio »,
Fototeca).
Fig. 14. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,
settore sinistro della parete occidentale della Stanza delle
Veneri, Giovan Battista Zelotti, Venere soccorre Adone mortalmenteferito, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro
Internazionale di Studi di Architettura « Andrea Palladio »,
Fototeca).
172 giuseppe barbieri
1983 avevo deliberatamente omesso qualsiasi elemento
di lettura del ciclo freschivo. Le opinioni degli altri
studiosi, che da allora si sono occupati invece più da
vicino dei signifi cati della raffigurazione, differiscono.
Per Bevilacqua, si tratterebbe di « Apollo-Helios […]
divinità cosmica per eccellenza, apparentata a Mitra
Fig. 15. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di
Fran cesco Trento, 1560
(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
Fig. 16. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di
Francesco Trento, 1560
(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
un ritratto in sembianze di prometeo 173
Fig. 17. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di
Francesco Trento, 1560
(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
e Christus Sol […che] testimonia lo sfondo culturale
platonizzante dell’iconografo di questa sala, il quale,
come signifi cato complessivo, volle forse esprimere il
concetto del ruolo di guida assunta dalle arti, e dalla
Fig. 18. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovambattista Maganza, Affreschi del padiglione di Francesco
Trento, 1560
(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
poesia, nello svolgersi della civiltà umana ». 1 Sponza,
ma più per il nome del villino e per il fatto che la
1 A. Bevilacqua, Ricerche e notizie, cit., p. 908.
174 giuseppe barbieri
stanza insistesse sul Carcere dei Venti, pare alludere,
viceversa, a un altrettanto improbabile Eolo. Loredana
Olivato ha invece ipotizzato che debba trattarsi
di Prometeo, ricavando e sapientemente ritessendo
alcune considerazioni dal mio lavoro ; per van der
Sman non possono sussistere dubbi di sorta : « Nell’apertura
centrale al culmine della volta troneggia
Prometeo con una torcia accesa ». 1
Non troneggia di sicuro, ma si tratta senz’altro di
lui : occorre aggiungere tuttavia che nessuno ha sin
qui notato l’assoluta originalità che connota in questa
circostanza, nelle adozioni iconografi che, il mitico
Titano. In effetti, viceversa, questa raffigurazione si
distacca non solo dai canoni prevalenti che si erano
sino a questa data dispiegati nell’arte moderna occidentale,
2 ma anche da ogni altra che compare, in
questa fase, nel contesto veneto, dove (e anticipo un
punto su cui sarà indispensabile ritornare) la fi gura
di Prometeo assume comunque, nel corso del xvi
secolo, una declinazione del tutto specifi ca.
Lasciamo tuttavia sullo sfondo, per il momento, alcune
delle questioni che abbiamo affacciato. L’esistenza
di un preciso programma iconografi co ha infatti
registrato una precisa ricaduta anche sul campo delle
possibili attribuzioni, per quanto concerne l’autore
degli affreschi dell’Eolia. Donata Battilotti ha infatti
rintracciato un documento, in cui il pittore, di origine
comasca ma vicentino di adozione, Giovanni Antonio
Fasolo rivolge una esplicita ammonizione a Francesco
Trento in merito a una possibile conclusione dell’intervento
di decorazione nella sala del padiglione di
Costozza che non lo coinvolgesse ; 3 è il 20 febbraio
del 1570 e a Fasolo risultava che il
Magnifi co et Eccellente dottor di leggie Francesco Trento
habbia condutto nella villa di Costozza, a casa sua, Cornelio,
fi ollo de magistro Domenego da Valdagno pittor per
far lavorare in una sua opera già principiata e la maggior
parte fatta per il ditto messer Zuanantonio.
L’artista richiedeva in sostanza una perizia che certifi –
casse il peso e il valore del suo operato sin lì prodotto.
Non conosciamo il seguito, sappiamo poco o nulla
altresì del Cornelio nominato, possiamo intuire che
si parlasse di « maggior parte » perché ancora non
era stato avviato il seguito dell’intervento, quello che
comprendeva i « 7. quadri sotto alli .7. pianeti » ma occorre
subito aggiungere che il documento rintracciato
rischia forse di ingarbugliare, anziché risolvere, la
faccenda della paternità degli affreschi : i quali, si sarà
compreso, in forza della data dell’esposto riceverebbero
anche un circostanziato riferimento cronologico,
che dilata di almeno dieci anni il termine acquisito
per la defi nizione architettonica del padiglione, con
l’ulteriore conseguenza di sovrapporlo quasi ai primi
interventi di decorazione nella Rotonda. Come
abbiamo visto, alcuni eruditi berici del xix secolo
riferiscono a Giovanbattista Maganza, pittore, oltre
che poeta, allievo di Tiziano, di fama certamente
non inferiore a quella di Fasolo, il frammento di
codice ambrosiano con l’indicazione del programma
iconografi co del soffitto in esame, 4 implicitamente e
conseguentemente designandolo anche a esecutore del
programma e per la verità un altro testo, contenuto
sempre all’interno del cod. A.16 inf., uno dei più importanti,anzi, e cioè il lungo Capitolo del Maganza sopra
il ventiducto del molto Illustre et Eccellentissimo Signore Francesco
Trento, 5
Giovanbattista nella decorazione dell’Eolia : 6
Io qui lieto mi vivo, e di due belle
Donne contemplo e pingo la beltade
Che farian suspirar Zeusi ed Apelle. 7
Si chiamavano Anna e Olimpia, come leggiamo nel
seguito del componimento e devono essere identifi –
cate, come ho a suo tempo proposto, 8 nella sorella
e nella prima moglie di Francesco Trento, e forse
anche con i due busti femminili molto rovinati
che sormontano le allegoriche rappresentazioni della
Terra e del Fuoco nella « stanza Apolline ». Il dato
più interessante è tuttavia un altro. La cronologia
internamente inferibile dal Capitolo, che sottolinea
come l’Eolia non fosse ancora stata portata a termine,
potrebbe confi gurare anche per gli affreschi (a
proposito dei quali io seguito tuttavia a supporre più
plausibile la mano di Fasolo) una cronologia appena
successiva alle per altro semplicissime opere murarie.
È comunque inutile inoltrarsi nella questione, che
resta controversa, tanto a livello di determinazione
cronologica quanto attributiva.
Torniamo piuttosto ai contenuti del tronco Disegnodelle pitture che sono nella stanza Apolline. Il complessivo
tema del programma è del tutto scoperto e si riferisce
all’ambito degli infl ussi astrali e planetari che Jean
Seznec, ma sulla scorta di una tradizione critica precedente,
in cui spiccano gli interventi di Hauber del
1916 (Planetenkinderbilder und Sternbilder) e di Fritz Saxl
nel 1918–1919 (Probleme der Planetenkinderbilder), ha chiamatoi « fi gli dei pianeti » :
9 un codice di raffigurazione
– parallelo a quello che si preoccupava di rintracciare
le infi nite relazioni tra macro e microcosmo, anche
attraverso vere e proprie mappature – impegnato a
evidenziare l’infl uenza dei pianeti sulle attività, sui
1 G. J. J. van der Sman, La decorazione a fresco, cit., p. 143.
2 Cfr. Olga Raggio, The Myth of Prometheus. Its survival and
metamorphoses up to the eighteeth century
and Courtauld Institutes », xxi, 1958, pp. 44–62.
3 Cfr. Donata Battilotti, Nuovi documenti per Palladio (con un’aggiunta
archivistica al Fasolo), « Arte Veneta », xxxi, 1977, pp. 232-239 :qui in particolare a p.
234 (il documento è riportato per esteso
a p. 239).
4 Cfr. supra, p. 172, nota 1. 5 Occupa i ff. 27r–31v.
6 Tesi condivisa per altro da una lunga tradizione critica, da
Magrini (1845) a Sgarbi (1980) : vedila sintetizzata in A. Bevilacqua,
Ricerche e notizie, cit., p. 909. 7 Cod. A. 16 inf., f. 29r.
8 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 121–122.
9 Cfr. Jean Seznec, La sopravvivenza degli antichi dèi. Saggio sul ruolo
della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentale (1980
trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1990, pp. 101 ss.
un ritratto in sembianze di prometeo 175
Fig. 19. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo
e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglionedi Francesco Trento, 1560 ca. : scorcio della parete occidentale,
con una delle due porte d’accesso al padiglione
(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
Fig. 20. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza,Affreschi del padiglione di
Francesco Trento, 1560
re in cui non è stato completato l’originario programma iconografi co (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
comportamenti morali, sul profondo destino degli
uomini. In qualche misura il tema era stato ripreso
e sviluppato (con un buon grado di ermeticità, in
ogni senso) da Giulio Camillo Delminio nel suo
mirabolante Teatro della Memoria che aveva attirato
le attenzioni, vivente l’Autore, di Francesco I e di
Alfonso d’Avalos, governatore spagnolo di Milano, le
preoccupazioni di Erasmo, la probabile collaborazione
di Tiziano ; 1 e che, dopo la sua morte repentina,aveva trovato, nella convulsa redazione affidata a Girolamo
Muzio e successivamente curata da Ludovico
Dolce, 2 un assai più ampio pubblico. Nell’ambito purcosì singolarmente a
ffollato dei Planetenkinderbilder (che
trovano naturalmente nel ciclo ferrarese di Schifanoia
e in quello padovano nel salone del Palazzo della
Ragione due exempla padani di fortissimo impatto)
credo valga la pena di ricordare comunque quest’opera,
che pure ci giunge priva di illustrazioni : non
solo per l’analoga struttura planetaria, che è tuttavia
eptagonale in Giulio Camillo, 3 ma soprattutto per
il ruolo del tutto particolare che proprio Prometeo
fi nisce per assumere nella complessiva costruzione
del Teatro. 4 La fi gura di quest’ultimo, infatti, era
stata individuata da Delminio come l’immagine che
poteva più efficacemente connettere tra loro quelle
che rinviavano « a tutte le arti, così nobili, come vi-
1 Cfr. il mio Un segreto europeo : il “teatro” di Giulio Camillo, in Le
Venezie e l’Europa. Testimoni di una civiltà sociale, a cura di GiuseppeBarbieri, Cittadella (
pd), Biblos, 1998, pp. 103–111, con sintetica
ricapitolazione bibliografi ca fi nale : ma corre l’obbligo almeno
di alludere agli studi su Giulio Camillo di Frances Yates, Lina
Bolzoni, Loredana Olivato, Corrado Bologna, ecc.
2 Cfr. Giulio Camillo, L’Idea del Theatro, in Fiorenza, appresso
Lorenzo Torrentino, 1550.
3 Per questo parlavo di una soluzione di ripiego per l’inserimento
di Cupido, sulla parete settentrionale, al fi anco di Venere.
4 « Ma per dar (per così dir) ordine all’ordine, con tal facilità,
che facciamo gli studiosi, come spettatori, mettiamo loro davanti
176 giuseppe barbieri
Fig. 21. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di
Francesco Trento, 1560 ca. : inquadratura generale della volta (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
le dette sette misure, sostenute dalle misure de’ sette pianeti in
spettaculo, o dir vogliamo in Theatro distinto per sette salite.
Et, perché gli antichi Theatri erano talmente ordinati, che sopra
i gradi allo spettacolo più vicini sedevano i più honorati : poi di
mano in mano ne’ gradi ascendenti quelli, che erano di minor
dignità, talmente, che ne’ supremi gradi sedevano gli artefi ci […] :
noi, seguendo l’ordine della Creation del mondo, faremo seder
ne’ primi gradi le cose più semplici, o più degne, o che possiamo
imaginar esser state per la disposition divina davanti alle altre
cose create. Poi collocheremo di grado in grado quelle, che appresso
sono seguite : talmente, che nel settimo, cioè nell’ultimo
grado superiore, sederanno tutte le arti, et facultà, che cadono
sotto precetti : non per ragion di viltà, ma per ragion di tempo,
essendo quelle, come ultime da gli huomini state ritrovate »
(Giulio Camillo Delminio, L’Idea del Theatro […], Portogruaro,
Società di Storia, 1984, pp. 35–36. Per la forma che il Teatro diGiulio Camillo doveva assumere rimando al mio
L’artifi ciosa rota :il teatro di Giulio Camillo, in Architettura e utopia nella Venezia del Cinquecento,
Catalogo della Mostra a cura di Lionello Puppi, Milano,
Electa, 1980, pp. 209–218.
un ritratto in sembianze di prometeo 177
1 G. Camillo Delminio,
L’Idea del Theatro, cit.
(ed. 1984), p. 96.
2 Sul tema del ritratto esiste una bibliografi a talmente ampia
da risultare non convocabile : mi limito a ricordare alcuni Atti di
Convegni recenti, oltre al volume di Pommier di cui alla nota 6 a
p. 180 e ai tre volumi curati da Gentili di cui alla nota 4 di questapagina :
Luciana Gentili, Patrizia Oppici (a cura di), Tra parola
e immagine : effigi, busti, ritratti nelle forme letterarie, Atti del Convegnointernazionale di Studi (Macerata-Urbino,
3–5 aprile 2001), Pisa,
Istituti editoriali e poligrafi ci internazionali, 2003 ; AlessandroPontremoli
(a cura di), Il volto e gli affetti : fi siognomica ed espressione
nelle arti del Rinascimento
(Torino, 28–29 novembre 2001), Firenze, Leo S. Olschki editore,
2003. Un’eccezione merita tuttavia l’anticipatorio e ancora valido
saggio di Enrico Castelnuovo, Il signifi cato del ritratto pittorico nellasocietà
, in Storia d’Italia, coordinata da Ruggiero Romano, Corrado
Vivanti, Torino, Einaudi, 1973, v (ii), pp. 1031–1094.
3 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 104–106.
4 Cfr. a proposito di questo particolare elemento le considerazioni
di Claudia Cieri Via, L’immagine del ritratto. Considerazionisull’origine del genere e sulla sua evoluzione dal Quattrocento al Cinquecento
,
in Il ritratto e la memoria. Materiali, 1
Roma, Bulzoni, 1989, p. 48.
5 Sull’attività ritrattistica di Fasolo cfr. Maria Elisa Avagnina,
Margaret Binotto, Giovanni Carlo Federico Villa
(a cura di), Pinacoteca civica di Vicenza. Dipinti dal xiv al xvi secolo
Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi e Musei Civici di Vicenza,
2003 (« Catalogo scientifi co delle collezioni », i), pp. 410–418.
6 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 104–106.
7 Cfr. G. J. J. van der Sman, La decorazione a fresco, cit., p. 151.
8 Tempi troppo ristretti non mi hanno poi consentito di
partecipare agli Atti del Convegno.
li » : 1 esse, come ho riportato in nota, « cadono sotto
precetti », e sono elencate e raggruppate, di conseguenza,
secondo lo schema planetario che connota
l’intera struttura della machina mnemonica. Quando
giungeremo a occuparci delle ragioni di fondo che,
a mio avviso, portano a determinare il complessivo
disegno iconografi co dell’Eolia non risulteranno certo
inutili alcune delle considerazioni che Giulio Camillo
allinea nell’Idea,
sotto il ‘grado’ di
Prometheo.
5. Il ritratto
di Francesco
Trento
Il codice A. 16 inf.
della Biblioteca Ambrosiana
di Milano
contiene, con molti
testi letterari, anche
un piccolo olio
su pergamena che,
malgrado alcuni cu –
riosi misunderstanding
ottocenteschi, non
può che consegnarci
il verosimile ritratto
del patron di
Villa Eolia, Francesco
Trento : 2 delresto, il dossier milanese
si intitola per
l’appunto Gasparis
Tr i s sinis aliorumque Illustrium
Poetarum in
effigiem & Aeoliam per
Ill.mi & Ecc.mi viri
Francisci Tridenti. Ci
sono ulteriori indizi
a conferma. 3 Il piccolo
dipinto reca inoltre un’esplicita e signifi cativa
iscrizione « francisci morlinus tridentius aeoliae
et ventiductorum auctor aetatis suae 4 .A. xxxii »,e quest’ultima indicazione ci riallaccia pressoché
adannum alla data di conclusione dei lavori (almeno architettonici)
per il piccolo padiglione. Nel mio saggio
del 1984
Antonio Fasolo 5 (o almeno alla sua intima cerchia),
6 mentre van
der Sman ha sostenuto
trattarsi di una
copia dell’avvio del
xvii secolo ; 7 per il
nostro intento nella
presente circostanza
(e forse in assoluto)
il problema attributivo
è trascurabile.
Ci interessano, in
realtà, le fattezze.
Perché le ritroviamo,
convincentemen te
riprese, anche in
quelle del Prometeo
al centro dell’ottagono
della « stanza
Apolline ». Ho annunciato
tale insolita
e sin qui mai notata
somiglianza nel
2004, all’InternationalSym posium Academia
Eolia Revisited.
Pneuma in Renaissance
Architecture, organizzato
a Costozza dalla
School of Architecture
dell’University
of Notre Da me
dell’Indiana, grazie
all’im pegno di Barbara
Kenda. 8 Il dato
risulta certamente
cu rioso, perché disponiamo
davvero di pochissimi esempi cinquecenteschi
(e a differenza invece di più remoti passati, come
Fig. 22. Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. A. 16. inf., f. 2v: ambito di
Giovanni Antonio Fasolo, Ritratto di Francesco Trento nel 1560, olio
su carta.
178 giuseppe barbieri
dimostrano gli studi di Vermeule ripresi da Kantorowicz
1) in cui un committente non solo si fa ritrarre
in posizione eminente all’interno di un ciclo decorativo,
ma per di più assumendo le sembianze e i gesti
di un personaggio di natura, per così dire, divina o
semi divina. Senza ritornare alle pur decisive osservazioni
di Warburg in merito alla nuova attenzione già
tardoquattrocentesca per le concrete sembianze degli
dèi e per le prime intrusioni di uomini e donne 2 in
scene che dovrebbero invece scandire, giusta Esiodo,
una precisa esclusione spaziale dei luoghi degli dèi e
degli eroi dai contesti della civiltà umana, 3 potremmoricordare in tal senso, sulla scorta di Seznec, 4 l’affresco
di un allievo di Primaticcio nella Torre della Lega del
Castello di Tanlay, che raffigura Enrico II di Francia
e la sua corte nei modi dell’assemblea degli dèi sull’Olimpo
; Claudia Cieri Via 5 ed Édouard Pommier 6
hanno invece richiamato la nostra attenzione, pur
con sottolineature diverse, sul ritratto in sembianze
di Nettuno che il Bronzino realizza, nel quarto decennio
del secolo (e addirittura in più versioni), per
Andrea Doria. Per altri versi, che non riguardano
però le divinità olimpiche e spalancano uno scenario,
problematico e critico, se possibile anche più affollato,
si considerino le osservazioni di Wind a proposito
dei ritratti allegorici di Grünewald (e di Cranach) per
Alberto di Brandeburgo. 7
È inutile negare che il rango di questi effigiati non
è però confrontabile con quello, assai più modesto,
di Francesco Trento : anche questo dato aggiunge
insomma elementi di peculiare novità all’affresco
di Costozza, per quanto siano certamente ancora
di là da venire le considerazioni precettistiche, soprattutto
post-tridentine che, nell’ultimo scorcio del
Cinquecento, e comunque riprendendo precedenti
osservazioni di Leonardo, fi niranno per disciplinare
più convenientemente la pratica ritrattistica. 8 Ma se confrontiamomentalmente la raffigurazione di Francesco
Trento nelle sembianze di Prometeo con quelle altre
immagini di pur reale contiguità tra rappresentazioni
1 Cfr. Ernst H. Kantorowicz, La sovranità dell’artista. Mito e
immagine tra Medioevo e Rinascimento, a cura di M
Venezia, Marsilio, 1995, p. 66.
2 Cfr. A. Warburg, Opere, i, cit., pp. 81 ss.
3 Cfr. Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo
latino (1948
Nuova Italia, 1992, p. 191.
4 Cfr. J. Seznec, La sopravvivenza, cit., p. 27.
5 Cfr. C. Cieri Via, L’immagine del ritratto, cit., p. 78
6 Cfr. Édouard Pommier, Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento
all’Età dei Lumi (1998), trad. it., Torino, Einaudi, 2003, p. 112.
Fig. 23. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo
e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglionedi Francesco Trento, 1560 ca. : l’ottagono al centro della
volta, con il ritratto di Francesco Trento in sembianze di
Pro meteo (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
Fig. 24. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo
e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione diFrancesco Trento, 1560 ca. : l’ottagono al centro della volta,
con il ritratto di Francesco Trento in sembianze di Prometeo
(particolare) (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
7 Cfr. Edgar Wind, Un ritratto allegorico di Grünewald : Albrecht
von Brandenburg nelle vesti di sant’Erasmo, 1937 ; vedilo ora in Idem,
L’eloquenza dei simboli 1983–1992, trad. it., Milano, Adelphi, 1992,
pp. 93–120.
8 Cfr. É. Pommier, Il Ritratto, cit., pp. 119 ss. ; si pensi in particolare
alle posizioni che Giovanni Paolo Lomazzo esprime nelsuo
Trattato dell’arte della pittura, Milano, 1584, p. 432 : « mentre ai
tempi dei Romani solo si rappresentavano i principi e gli uomini
un ritratto in sembianze di prometeo 179
di uomini e raffigurazioni di dèi che ho ricordato
in precedenza, ancorché in estrema sintesi, è agevole
percepire il desiderio di marcare una distinzione, di
celebrare, in qualche modo, una differenza.
Anche in un altro senso. L’ampia letteratura iconologica
ed emblematica che scandisce soprattutto la
prima parte del xvi secolo (senza risalire a più antichi
testi mitografi ci ed ecfrastici, e rinviando ancora per
un momento la presa in esame della Genealogia deorum
di Boccaccio, penso alle opere, tra gli altri, di Achille
Bocchi, Andrea Alciato, Lilio Gregorio Giraldi, Natale
Conti, Giovanni Pierio Valeriano, Vincenzo Cartari,
in attesa di quella che in qualche misura ne darà
la sintesi, determinando, soprattutto per i pittori, uno
standard destinato a durare per quasi tre altri secoli,
e cioè l’Iconologia di Cesare Ripa) non si fonda certo,
per quanto concerne i criteri di rappresentazione delle
antiche divinità, su puntuali sforzi di restituzione
fi siognomica : l’evemerismo, rammentato da Seznec
all’inizio del suo studio così anticipatorio, come pure
le progressive fusioni tra tradizione classica e cristiana
sono infatti elementi che rendono marginale, se non
del tutto ozioso, ogni tentativo in tal senso.
Proprio per questo l’affresco nell’ottagono superioredel soffitto dell’Eolia non può in alcun modo
risultare, a mio avviso, come un’adozione iconografi ca
casuale, non può confi gurare un modo quale che sia di
risolvere una partitura decorativa, come abbiamo veduto,
così articolata e complicata, sebbene non carica
di enigmi, anzi quasi di sin troppo scoperta, evidente
leggibilità. In altre parole ciò signifi ca che la scelta di
rappresentare il padrone di casa nelle vesti (succinte,
per altro) di Prometeo deve avere un senso abbastanza
preciso, nella cultura fi gurativa veneta del tempo, e
anche una sua percepibile diffusività ; e che, in secondo
luogo, questa specifi ca immagine deve racchiuderne
un altro, più puntualmente riferito alla personalità e
alle ambizioni di Francesco Trento. Ribadisco ancora
una volta : Prometeo deve avere un senso generale e
un senso peculiare. Alle ipotesi di una loro possibile
ricomposizione dedicherò la parte fi nale di questo
mio intervento.
6. « Si Come Fingono che facesse Prometheo » 1
Dopo il lungo saggio di Olga Raggio del 1958, apparso
sul « Journal » del Warburg Institute, tra la
fi ne di quel decennio e l’avvio del successivo Nicola
Ivanoff intervenne più volte, e possiamo aggiungere
pour cause, su alcune specifi che connotazioni che la
fi gura di Prometeo assume in terra veneta, soprattutto
nel corso del Cinquecento. 2 In effetti la Raggio aveva
sì fornito una restituzione senz’altro accurata dell’iconografi
a prometeica e delle sue trasformazioni, anche
nei secoli della prima età moderna, ma la sua analisi
appariva soprattutto imperniata nella disamina delle
molte stratifi cazioni semantiche che si erano venute
condensando sui sensi, più ancora che sui signifi cati,
da attribuire al Titano : per questa via non aveva
saputo tuttavia cogliere certe particolari declinazioni
venete, ad es. quelle che investono in particolare
l’aspetto fi sico del fi glio di Giapeto. Rispetto ai due
topoi prevalenti dell’iconografi a consolidata – uno che
fi ssa la punizione comminata da Giove, con il supplizio
straziante dell’aquila sulle rocce del Caucaso ; l’altro
che ci consegna viceversa una sorta di demiurgo,
in grado di animare con la scintilla divina un uomo
che è semplice impasto di fango o comunque non
vittoriosi, ora l’arte del ritrarre al naturale è divulgata tanto che
quasi tutta la sua dignità è perduta, non solamente perché senza
alcuna distinzione si tollera da’ principi e dalle repubbliche
ch’ognuno con ritratti cerchi di conservare la memoria sua eterna
et immortalare, ma perché ogni rozzo pittore, che appena sa
come impiastrare carte, vuol retrarre », e si considerino in questo
senso anche le considerazioni di Michelangelo, riferite da Vasari
e rammentate da Pommier.
Fig. 25. Costozza, Villa Eolia, padiglione di Francesco Trento, 1560 ca. : nel montaggio fotografi co, le due iscrizioni che
sormontano le porte di accesso alla «stanza Apolline» (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).
1 Giovanni Boccaccio, Delle Geneologia de gli Dèi […] Libri
Quindeci […] tradotta già per M. Gioseppe Betussi
Valentini, mdcxxvii, iv, p. 68r.
2 Cito i due saggi che mi sembrano più signifi cativi : Nicola
Ivanoff, I cicli allegorici della Libreria e del Palazzo Ducale di Venezia, in
Rinascimento europeo e rinascimento italiano, a cura di Vittore Branca,
Firenze, Sansoni, 1962, pp. 281–297 ; Idem,
veneziana del Cinquecento, « Emporium », fasc. 2, 1963, pp. 51–58.
180 giuseppe barbieri
ancora giunto al di là di una vitalità animale, poco
più che ferina 1 – esistono infatti alcune signifi cative
varianti : la prima consiste nel fatto che la punizione
divina non è sottolineata con particolare enfasi, ribadendo
implicitamente l’importanza del saggio furto
che avrebbe dato inizio defi nitivo alla civiltà umana
(il che si esprime, ad es., con specifi che raffigurazionidella liberazione di Prometeo); 2 la seconda ci
consegna un Titano meno atteggiato nei panni del
sapiente e al contrario riconducibile piuttosto, anche
per le fogge degli indumenti, all’eroicità, soprattutto
fi sica, di Ercole.
Non è naturalmente questa la sede per proporre un
compiuto regesto delle occorrenze di Prometeo nell’arte
del Rinascimento veneto (che pur resta da fare,
risultando lacunosa anche la sequenza proposta su
« Emporium » da Ivanoff). Meritano invece di essere
riprese, e in parte sviluppate, un paio di sue considerazioni.
La sorprendente insistenza di immagini di
Prometeo negli apparati decorativi, plastici e pittorici,
della sansoviniana Libreria di San Marco – il fulcro
dell’analisi dello studioso – non può essere trascurata.
Essa attesta infatti, nel contesto culturale veneto, l’importanza
attribuita al fi glio di Giapeto prima di tutto
in quanto emblema di una convincente attività intellettuale
: sulla scorta della tradizione sintetizzata fi no
a un certo punto da Boccaccio e poi più scarsamente
ripresa, per esempio da Vincenzo Cartari, Prometeo è
indicato come colui che può rendere la cultura, la speculazione,
l’attività intellettuale, ripeto, come fulcro
di una società civile ; 3 ma non è solo questo il punto :
sulla base di una competenza antiquaria che non può
essere scarsamente considerata (si pensi infatti al ruolo
di Vettor Grimani nella defi nizione iconografi ca
degli apparati della Loggetta e della Libreria 4 e alla
tradizione che la sua famiglia incarna), il Titano è
esibito come colui che può e sa collegare la capacità
di rifl essione teorica alla concretezza di quella stessa
società, e dunque anche alla sfera della tecnologia e
della tecnica, e ai servizi di queste ultime allo Stato.
Proprio in tale prospettiva ripenso alla suggestiva
defi nizione dell’Arsenale, in Tafuri, come luogo di
Vulcano, 5 ed è pressoché inutile replicare le considerazioni
di Panofsky sugli stretti vincoli tra il dio
1 Su cui si era appuntato in particolare il celebre ed esemplare
saggio di Erwin Panofsky, Preistoria umana in due cicli pittorici diPiero di Cosimo
, in Idem, Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte
del Rinascimento (1939
Torino, Einaudi, 1975, pp. 39–88.
2 Una delle quali, nella palladiana Villa Godi di Lonedo
di Lugo Vicentino, a opera di Battista Zelotti, coinvolge non
casualmente, con Ercole, la stessa Minerva.
Fig. 26. Costozza, Villa Eolia, padiglione di Francesco Trento, 1560 ca.: inquadratura dell’ottagono in pietra, traforato, al
centro del pavimento della «stanza Apolline», elemento di comunicazione con il sottostante Carcere dei Venti (courtesy
Giovanni Parolin, Rosà, vi).
3 Cfr. Boccaccio, Delle Geneologia, cit., p. 68r : « quasi di nuovo
[Prometeo] li cria, ammaestra & instroisce, & con le sue dimostrationi
d’huomini naturali gli fa con costumi civili, & perscienza
& virtù famosi di maniera, che chiaramente si vegga altri
haverli prodotti la Natura, & altri haverli riformati la dottrina ».
4 Cfr. N. Ivanoff, I cicli allegorici, cit., p. 285, Manfredo Tafuri,
Venezia e il Rinascimento. Religione, scienza, architettura, Torino,
Einaudi, 1985, specialmente pp. 167–168.
5 Cfr. Idem, « Sapienza di stato » e « atti mancati » : architettura e tecnica
urbana nella Venezia del ‘500, in Architettura e utopia, cit., pp. 16–39.
un ritratto in sembianze di prometeo 181
e il Titano (ed Eolo, la qual cosa non può certo che
attirare la nostra attenzione) : ciò potrebbe forse dare
allora un senso alla dislocazione della ormai perduta
statua di Prometeo che era stata posta all’inizio della
sequenza sommitale della Libreria Marciana, in ideale
collegamento urbano proprio con l’Arsenale, il cuore
segreto dello stato in cui si riponeva e si applicava
la sapienza organica allo sviluppo della Repubblica.
Prometeo può in sostanza essere inteso, in terra veneta
e in questa fase storica, ossia nei decenni centrali del
xvi secolo, come l’alfi ere di una nuova organizzazione
civile e sociale, addirittura come una delle immagini
di sintesi, sia pure non immediatamente e non da
tutti percepibile, del programma di renovatio urbis e di
riforma della Repubblica che è incarnato dal doge
Andrea Gritti, i cui rapporti con Vettor Grimani sono
ben noti, e sono stati opportunamente segnalati, lo
abbiamo ribadito, da Tafuri.
Si tratta, come si vede, di una prospettiva di interpretazione
piuttosto diversa da quella a suo tempo
fornita, sulla scorta di Ivanoff, dalla Crosato Larcher 1
a proposito delle decorazioni zelottiane a Villa Foscari,
la Malcontenta, dove è dato cogliere un’altra delle
non infrequenti occorrenze della raffigurazione di
Prometeo in terra veneta. D’altro canto, se torniamo
alla sequenza di fonti cinquecentesche escusse dalla
Raggio, 2 a cominciare da quelle più infl uenzate dalle
precedenti sottolineature di Boccaccio e Ficino, come
il Liber de Sapiente di Charles de Bovelles (1509), possiamo
notare da un canto la genericità dei sensi attribuiti
al Titano, dall’altro l’ambiguità che li regola, anche
a seconda che lo si consideri in ascesa verso il cieloo in discesa da questo : egli è infatti emblema di una
conoscenza acquisita per mezzo della fede in Achille
Bocchi, che lo contrappone all’arrogante curiosità di
Fetonte e di Icaro, 3 e invece segno di una curiositasfugienda negli Emblemata di Alciato, dove è pressoché
sovrapposto alle fi gure di Tizio e di Icaro ; simbolo
di punizione celeste e, insieme, di gratitudine (quando
è rappresentato con un anello), negli Hieroglyphica diPierio Valeriano ; nelle Imagini di Cartari, dove svolge
un ruolo certamente non secondario, dato che apre
la solenne introduzione ove si sottolinea il bisogno
per gli uomini del culto religioso, 4 e dove altresì
compare un esplicito accenno al ruolo civile del Titano,
5 Prometeo diviene un equivalente dell’artista,
dato ch’egli pare sintetizzare la relazione da tempo
stabilita in Alberti tra « industria » e « diligenza », 6 maper Natale Conti 7 i danni arrecati dall’infausto furto
da lui compiuto, che fi nisce per strappare gli uomini
alla felicità dello stato naturale, equivalgono invece a
quelli della moderna arroganza dello spirito, l’eresia
protestante.
Dobbiamo davvero chiederci a questo punto, per
tornare al nostro specifi co esercizio di lettura, come
questa congerie di fonti, tutte per altro di notevole
diffusione e di non problematico accesso, potesse aver
pesato su un’adozione tanto singolare come quella che
Francesco Trento presceglie per il soffitto dell’Eolia.
Sarebbe certamente intrigante riprendere e provare
ad adattare l’insolita prospettiva fornita da Natale
Conti e in tal senso rileggere, ad es., i rapporti di
Trento con Mario Repeta, 8 committente di un edifi
cio palladiano, la distrutta Villa di Campiglia, che
è una delle più insolite invenzioni dell’architetto, e
che è stata spesso letta come insegna di un nuovo
modo di concepire i rapporti tra le classi sociali, data
l’assoluta omogeneità tra corpo padronale e annessi
rustici, come se gli intenti e il progetto recassero
qualche implicita apertura a certe posizioni estreme,
quasi anabattistiche, dell’eresia. 9 Credo tuttavia che
insistere su questo possibile percorso condurrebbe a
inevitabili forzature, soprattutto perché smarrirebbe
le relazioni tra l’affresco del soffitto e gli altri soggetti
della volta.
Viceversa, e naturalmente, molte delle connotazioni
‘intellettuali’ che ci consegnano un Prometeo
sapiente, ri-creatore, promotore delle arti, si attagliano
in modo perfettamente congruo all’impegno di
ampia e complessa promozione culturale che Francesco
Trento ha dispiegato con tenacia per anni e
di cui ho cercato di dare conto nel mio saggio del
1984. Alcuni accenni, come ad es. la sua volontà di
ridenominare certi particolari toponimi, di trasfi gurare
alcune pratiche largamente in uso (come i ventidotti),
ci conducono esattamente in tale direzione.
E ciò basterebbe, ritengo, a motivare la scelta di
affidare le proprie sembianze alla raffigurazione del
Titano. Ma, anche in questo caso, alcuni elementi
non tornerebbero : penso soprattutto al fi sico atteg-
1 Cfr. Luciana Crosato Larcher, Postille alla lettura del ciclo della
Malcontenta dopo il restauro, « Arte Veneta », xxxii, 1978, pp. 223–229.
2 Cfr. O. Raggio, The Myth of Prometheus, cit., pp. 54–59.
3 Cfr. Achille Bocchi, Symbolicarum Questionum […] libri quinque,
Bologna, 1555, p. 287.
4 Cfr. Vincenzo Cartari, Le imagini de i Dèi de gli antichi, a
cura di Ginetta Auzzas, Federica Martignago, Manlio Pastore
Stocchi, Paola Rigo, Vicenza, Neri Pozza, 1996, p. 3 : « La qual
cosa è stata posta da alcuni sotto la favola di Prometeo, come
quel fuoco divino… ». 5 Cfr. ivi, p. 292.
6 Cfr. ivi, pp. 342–343 : « Prometeo parimente con l’iuto di costei
[Minerva] andò in cielo et involò il fuoco del carro del Sole,
col quale diede poi le arti al mondo, che sono perciò dette esser
venute da Minerva perché l’ingegno umano ha trovato ciò che
tra noi si fa, e trova anco tutto dì, e fallo con il mezo del fuoco
conciosiaché in tutte le arti due cose facciano di bisogno. L’una
è l’industria, e la inventione, l’altra il porre in opera, e fare quello,
che lo ingegno ha disegnato. Quella s’intende per Minerva e
questo per Volcano, ciò pel fuoco ». Per il binomio albertiano
cfr. il mio Giuditio, misura. Leon Battista Alberti, Niccolò Cusano e l’architetto
come intellettuale, « Museum Patavinum », iii, 1, 1985, pp. 51–74
specialmente 53–54. 7 Mythologiae, iv, 6.
8 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 133–135.
9 Cfr. L. Puppi, Andrea Palladio, cit., p. 320 : « a Campiglia
Palladio visualizza un’intenzione ostile alla discriminazione e
all’esaltazione del privilegio, sino a offrir quasi un’incredibile
immagine d’integrazione alla “politica dei villani”, purifi cata
dall’umanistico richiamo all’egida della virtù ».
182 giuseppe barbieri
giamento del Prometeo eolico, raffigurato nudo, per
di più non in ascesa bensì in controllata ‘caduta’ dal
cielo di Olimpo, privo cioè di alcun attributo che ci
consenta di fi ssarlo immediatamente, senza indugi,
come sapiente.
Per quanto osserviamo, Francesco Trento ha voluto
inserirsi personalmente in una dettagliata ricapitolazione
degli dèi e degli infl ussi ch’essi esercitano
tramite i pianeti – ricordiamo il programma iconografi
co dettato, non condotto a termine e comunque
tramandatoci dal codice ambrosiano – sulle attività
umane. Francesco ha voluto insomma raffigurarsi
come dio. Ma le iscrizioni che troviamo sulle pareti
del padiglione e sul sottostante Carcere, come pure
alcuni testi letterari del dossier milanese ce lo affidano
piuttosto, lo abbiamo visto, come « un’Eolo ver, ch’il
fi nto rassomiglia ». Quale può essere la fonte (al di
là della rifl essione per immagini di Piero di Cosimo
analizzata da Panofsky : questa sì, tuttavia, di non
plausibile accesso) che può fi ssare agli occhi di Trento
una contiguità tra Prometeo ed Eolo ?
La risposta in realtà non è troppo difficile, e coincidecon la fonte che è forse quella più diffusa, più letta e
riletta, in un Rinascimento che ci appare, più spesso
di quanto saremmo portati a supporre, pervaso della
cultura, soprattutto letteraria, dell’epoca precedente.
Si tratta infatti, come ormai si sarà inteso, della Genealogia
di Giovanni Boccaccio. Abbiamo osservato in
precedenza 1 come alcuni passi della sua presentazione
di Prometeo potessero avallarne, autorevolmente,
un’interpretazione nel senso di un’intelligenza politica
e civile. Francesco Trento aveva certamente mostrato
di voler collegare la rifl essione intellettuale sua e del
circolo che attorno a lui si riuniva almeno ad alcuni
salienti della vita concreta, come ad es. la sfera dei
rapporti personali, coniugali, sessuali. La sua ostentata
capacità di controllo del vento lo abilitava in qualche
misura a proporre anche ulteriori e legittimate regolazioni,
quasi una sorta di legge per una società futura.
E tuttavia non credo sia stato questo l’elemento, nella
lettura di Boccaccio, che deve averlo colpito di più.
Sospetto altresì, come ho detto in precedenza, che
la scelta della fi gura al centro dell’ottagono possa
essere dipesa anche dalla lettura dell’Idea del Theatro di
Giulio Camillo : certo per il modo in cui Prometeo vi
viene presentato, con esplicite valenze sociali e civili,
e inoltre per come a Francesco poteva apparire, pur
nelle incertezze determinate da un testo volutamente
ermetico, la complessiva machina scenica impostata da
Delminio. Essa rivelava infatti una struttura che a un
gentiluomo tanto dedito alle problematiche architettoniche
(così nel ricordo di Palladio che abbiamo
rammentato in precedenza) non poteva non ricordare
l’ottagona Torre dei Venti di Andronico di Cirro,
che Vitruvio presenta all’inizio del suo De architectura,2
addirittura con qualche lieve assonanza con l’impian-
1 Cfr. supra, p. 182, nota 3.
to decorativo, similmente ottagono, dell’Eolia. 3
Torniamo tuttavia a Boccaccio, per la cui opera era
disponibile, dalla seconda metà degli anni ‘40, anche
la comoda traduzione del bassanese Giuseppe Betussi.
Nel iv libro della Genealogia il lungo medaglione su
Prometeo e sulla sua discendenza (Ifi s, Deucalione
e i suoi fi gli) approda senza soluzione di continuità
a quello di « Astreo fi gliuolo di Titano ottavo,
che generò Astrea & i Venti ». 4 Anche questi ultimi
condividono con Prometeo, in un certo senso, un
moto di ribellione contro Zeus e il divino castigo,
in quanto da lui « furono rinchiusi nelle caverne, &
confi nati sotto l’imperio d’Eolo ». 5 Il padre dei Venti,
seguita Boccaccio, è il Cielo stellato e il loro corso
fi ssato dal « movimento del Cielo, & da i Pianeti », 6
che costituisce il nucleo cruciale del programma iconografi
co del codice dell’Ambrosiana. Ma possiamo
aggiungere un breve passo ulteriore :
È stato poi detto quelli essere stati relegati nelle caverne
sotto l’imperio di Eolo ; conciosiache le Isole Eolide ; allequali
già signoreggiò Eolo, & acqua : del cui movimento
deriva il calore, & le spelonche sono piene d’Aere, & acque :
[…] esso calore risolve nell’Aere : il quale non potendo
formarsi in non capace luogo, esce fuori, & se la uscita è
stretta ; di necessità esce piu impetuoso, piu sonoro, & piu
lungo : & cosi uscendo i generati Venti fuori delle Caverne
delle Isole Eolide, è stato fi nto, quelli esser stati relegati
ne gli antri di Eolo, & sotto l’imperio suo posti.
Potremmo sottolineare, naturalmente, il contrasto
tra la fi nzione del mito remoto (« è stato fi nto ») e
l’autentico controllo sul corso dei venti, quello che
Francesco Trento rivendica, in termini espliciti, con
l’iscrizione sulle sovraporte del padiglione, la cui prima
parte (in aestv temperies) – e ringrazio Joseph
Rykwert per la lucida agnizione in situ
dalla Sequenza della liturgia di Pentecoste : 7
il che potrebbe forse anche ricondurci (ma valgano
le considerazioni suesposte) ai rapporti tra Prometeo
e l’eresia denunciati da Natale Conti.
Mi interessa di più sottolineare, giunti ormai, e
fi nalmente, alla conclusione del nostro discorso, come
nella Genealogia di Boccaccio Francesco Trento o qual-
2 Cfr. G. Barbieri, schede 258–260, in Architettura e Utopia, cit.,
pp. 215–217.
3 Cfr. Vitruvio, De architectura, a cura di Pierre Gros, trad. e
comm. di Antonio Corso ed Elisa Romano, Torino, Einaudi,
1997, i, 6, 4, p. 49 : « Ma quanti hanno svolto ricerche più approfondite
[sui venti] ci hanno insegnato che ne esistono otto,
in particolare Andronico di Cirro, il quale fra l’altro costruì ad
Atene, a mo’ di esempio, una torre di marmo ottagonale. Su ciascun
lato raffigurò le immagini scolpite dei singoli venti, ciascunodi fronte al punto da cui soffia. E in cima a questa torre, per
fi nire, pose un cono di marmo, e al di sopra collocò un Tritone
di bronzo che tendeva una bacchetta con la mano destra… ».
4 Boccaccio, Delle Geneologia, cit., p. 70v.
5 Ivi, p. 71r. 6 Ivi, p. 71v.
7 « […] In labore requies / In aestu temperies / In fl etu
solcaium… » : nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto
conforto.
un ritratto in sembianze di prometeo 183
cuno dei suoi dotti amici potesse rintracciare, prima
di tutto, la diretta contiguità, nella struttura del testo,
tra le fi gure di Prometeo e quelle dei Venti ; inoltre,
la loro comune discendenza titanica, certe analoghe
scelte di comportamento, la connessione tra la temperies
determinata dal vento e il fuoco che il fi glio di Giapeto
reca in mano nella sua discesa dall’Olimpo : un
fuoco che il vento proveniente dal Carcere sotterraneo
non avrebbe potuto che mantenere vivo.
Per questo il Carcere dei Venti poteva essere sormontato
dalla fi gura di Prometeo ed è quest’ultimo,
a sua volta, a chiarire il secondo aspetto del nostro
problema, ossia il motivo che poteva aver spinto il
nobile Trento a farsi ritrarre sotto le sembianze del
Titano, in aspetto poco meno che divino. È pro- 1 Met., i, 83.
prio perché si rappresenta Prometeo che il ritratto di
Francesco, lungi dal risultare bizzarro o inconcepibile,
diviene addirittura, in un certo senso, necessario. Prometeo
è infatti all’origine delle arti, e dunque della
possibilità del ritratto, ma insieme della somiglianza
tra gli uomini e gli dèi e pertanto della ragione stessa
di esistere del ritratto stesso : perché l’uomo che egli
plasma, la sottolineatura risale a Ovidio, e sarebbe
stata davvero sottilmente dispiegata sulle pareti del
padiglione se il programma iconografi co dell’Ambrosiana
fosse giunto a compimento, è « a immagine
degli dèi che tutto regolano ». 1
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Martin McLaughlin, Humanist Rewriting and Translation: the Latin Griselda from Petrarch to Neri de’ Nerli 23
David Marsh, Poetics and Polemics in Petrarch’s Invectives 41
Stefano Pittaluga, Arcaismo e commedia umanistica 47
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Mario Martelli, Lamia 95
Claudio Crescentini, Nel segno del comando. La ‘virtù’ di Sigismondo Malatesta nell’arte di Piero della Francesca 99
Henri Dominique Saffrey, Alain-Philippe Segonds, Ficin sur le De mysteriis de Jamblique 117
Francesco P. Di Teodoro, Ponti civili e militari in legno nei fogli di Leonardo 125
Guglielmo Gorni, La condizione di non-finito delle Satire di Ludovico Ariosto, con una digressione metrica 141
Enrico Fenzi, Isabella o Lucrezia? Una proposta per le rime di Niccolò da Correggio 145
Giuseppe Barbieri, «Finxit in effigiem moderantum cuncta deorum»: un ritratto in sembianze di Prometeo 161
Yves Hersant, Giordano Bruno, Pétrarque et le Pétrarquisme 185
Sommarî, Abstracts 191
Index nominum, Elena Scantamburlo curante 199